LE NUOVE REGOLE, ANCORA NON SCRITTE, ENTRERANNO IN VIGORE
ALLA FINE DEL 2018
Temporale in vista per l'opera?
Al ministero sanno come fare. Non è più il tempo degli
sgradevoli eccessi cui abbiamo assistito negli anni della premiata ditta
Berlusconi & Co. con i celebri “rubinetti da chiudere” nei deliri di
Brunetta da Gubbio. Lo stile è assai più soft: non si sono letti tweet sulla
bacheca di Franceschini, in settimana, né Renzi ha accennato alla cosa, nella
sua mail settimanale agli iscritti del Partito Democratico. In tacita fretta, è
stato tutto infilato in un emendamento (Art. 24, inserito nel Capo V, “Misure urgentiper il patrimonio e le attività culturali”) al decreto legge sugli enti locali
(il n. 2495), approvato con voto di fiducia. I quotidiani generalisti si sono
ben guardati dal dare risalto alla cosa. Et voilà, il piatto è in tavola.
Ora le fondazioni lirico-sinfoniche, per mantenere tale
status e non essere declassate a teatri lirico-sinfonici, con conseguente
perdita di diritti su una bella fetta di finanziamento pubblico, dovranno
essere valutate in base ad alcuni parametri (il termine è fissato per il 31
dicembre 2018). L'emendamento è abbastanza generico e rimanda a un secondo
momento non solo la “definizione delle modalità” attraverso cui accertare il
possesso dei requisiti, ma addirittura la stessa “individuazione dei
requisiti”, premendo in modo deciso solo sulla necessità da parte delle attuali
fondazioni di tendere al pareggio di bilancio.
Per non rimanere troppo sul vago, comunque, nel documento si
specifica che tra i requisiti sono previsti: la “dimostrazione del
raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario”, la “capacità di
autofinanziamento e di reperimento di risorse private”, la “realizzazione di un
numero adeguato di produzioni e coproduzioni”, il “livello di
internazionalizzazione” e “la specificità nella storia e nella cultura operistica
e sinfonica italiana”. Per ottenere una simile messe di risultati, ovviamente
bisognerà individuare i “modelli organizzativi e gestionali efficaci, idonei a
garantire la stabilità economico-finanziaria”, mentre per valutare la
specificità storica non è dato sapere a quali criteri si farà riferimento.
Le fondazioni liriche, al momento, sono dodici più due.
L'elenco completo si trova sul sito dell'associazione che le rappresenta,
l'Anfols, presieduta da Cristiano Chiarot. Cosa accadrà alle attuali fondazioni
che non dovessero farcela a rientrare nella parte di lavagna con su scritto
“buoni”? Su questo, l'emendamento ha le idee molto chiare: riduzione delle
attività, chiusura temporanea o stagionale; modifiche contrattuali, per esempio
con la trasformazione da tempo pieno a tempo parziale; non riconoscimento di
contributi, premi di risultato e altri trattamenti di secondo livello al
personale (con la gradevole precisazione “anche direttivo”); riduzione del 50 %
dei fondi per le missioni all'estero (tournée, ospitate et similia).
Insomma, per i “buoni” i soldi dovranno arrivare sempre più
dai privati, dalle vendite dei biglietti, dei diritti e dei gadget, oltre che
da una gestione virtuosa del bilancio, per i “cattivi” il Mibact taglierà
direttamente i fondi senza troppi giri di parole.
Come hanno reagito, finora, le fondazioni riunite
nell'Anfols? Dopo un primo comunicato del 29 luglio abbastanza pacifico, non
avendo avuto contatti diretti con Franceschini prima dell'approvazione
definitiva al senato, il 2 agosto i sovrintendenti hanno alzato un pochino la
voce. Giusto un pochino, però, dal momento che si sono limitati a “sottolineare
la propria attenzione nei confronti del provvedimento” e ad auspicare “un
prossimo incontro con il ministro Franceschini al fine di individuare un
percorso che veda l’Anfols primario interlocutore nella fase di scrittura dei
regolamenti”. L'obiettivo dichiarato è quello di “far sì che tutte le
Fondazioni lirico sinfoniche possano essere in grado di rientrare in quei
parametri previsti dalla legge al fine di continuare a tutelare uno
straordinario patrimonio identitario del nostro Paese”. Ci riusciranno? Forse
no.
Al momento prevale un certo ottimismo. Soprattutto in alcuni
ambienti ci si considera in una botte di ferro: a parte le “speciali” Scala e
Accademia di Santa Cecilia, a Venezia o a Torino difficilmente si sentiranno
sotto attacco, visti i numeri delle ultime stagioni; è normale, dunque, che
cerchino la collaborazione e la mediazione, anche perché la riforma in vista non
è l'unica questione sul piatto: i numeri, per esempio, vanno sempre tenuti
sotto controllo, dato il perenne problema della ricerca di pubblico, in un
paese che ha raffinato per il mondo questa forma d'arte, ma che non ritiene
importante far studiare musica a scuola; inoltre, varie cause pendenti
rischiano di causare un piccolo terremoto nei bilanci di alcuni teatri.
In altri teatri, però, non tira un'aria tranquillissima: a
Bari è appena fallito il tentativo di sovrintendente esterno, lo scrittore
Carofiglio, e le cause pendenti non fanno presagire nulla di semplice; a
Cagliari la situazione è stata ripresa per i capelli (inizialmente non erano
previsti spettacoli in cartellone, per il 2016) e le lotte interne tra
lavoratori, dirigenza attuale e dirigenze passate si alimentano ora col fuoco
della riforma in arrivo; a Verona la situazione è criticissima, dato che
Fuortes, spedito come sovrintendente in zona-Cesarini da Roma, ha già fatto
capire che difficilmente rimarrà a lungo e ancora non si sa bene quali saranno
i prossimi vertici e come verrà organizzata la prossima stagione; il Teatro
dell'Opera di Roma è andato bene, nelle ultime stagioni e dopo la guerra
interna con minaccia di licenziamento dell'intera orchestra, ma una non mai
troppo ben precisata e minacciosa massa di debiti grava ancora sul collo
dell'ex-Costanzi. Tutto ciò nei teatri principali. In altri luoghi che godono
meno del favore della cronaca, la soppressione di stagioni musicali
faticosamente riportate in vita da eroi solitari passa spesso del tuttoinosservata.
A chi ha vissuto la tragedia dei tagli alle università in
diretta, questa sembra una riproposizione tout-court della stessa situazione:
l'Anvur, all'epoca, si comportò esattamente come sta facendo l'Anfols. Tutti
erano sicuri che si trattasse di un bluff, di un modo per rimettere tutti in
riga con gli sprechi. Solo anni dopo, quando l'effetto dei tagli realmente
condotti è stato misurabile nei disagi e nei problemi degli atenei, i rettori e
i docenti si sono resi conto di quanto gli studenti avessero avuto ragione nel
protestare rabbiosamente. Adesso, i vertici dei teatri si sentono tranquilli e
pensano che chi grida alla “morte delle lirica” sia ancora una volta
l'esagitato melodrammatico di turno: da amanti dell'opera speriamo davvero che,
tra qualche anno, anche loro non debbano rendersi conto di come ascoltare
Cassandra, talvolta, possa far bene alla salute.
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